Titolo: Ora siamo liberi.
Genere: avventura, azione, drammatico.
Tipo: one-shot,
what if?Rating: giallo
Brano: La Regina della Notte – Mozart
La vendetta dell'inferno ribolle nel mio cuore,
morte e disperazione ardono in me!
Se tramite te Sarastro non troverà la morte
Non sarai mai più mia figlia
Disconosciuta per sempre,
Abbandonata per sempre,
Distrutti siano per sempre
Tutti i legami della Natura
Se tu non farai diventare pallido Sarastro!
Ascoltate, dei della Vendetta, ascoltate il giuramento di una madre!
Personaggi: Reks O’ Rogue (PG), Ashe De’ Areith (PNG), Matrona Rèimés (PNG), Coral De’ Areith (PNG).
Note: La fiction inizia d’ appena la fine del background della scheda del mio PG, quando Ashe, dopo aver deciso di sigillare tutti i ricordi che aveva su Reks, se ne va per sempre dal covo che condividevano, per tornare dalla sua famiglia a Dosterrazan.
Narra quindi di cosa sarebbe accaduto, se Reks, non pronto per dire addio alla sua maestra, l’ avesse seguita fin nel sottosuolo.
La Regina della Notte ovviamente non poteva essere Reks, così, sarà recitata dalla Matrona Rèimés, madre di Ashe u.u
ORA SIAMO LIBERI
Dall’ unica finestra di quell’ angusta prigione, un sottile raggio dei fuochi magici della città rischiarava gli ultimi istanti d’ esistenza del bambino.
Una preghiera si alzava dalla strada buia sotto l’ alta torre che lo custodiva prigioniero, rapendo i suoi pensieri, ma nonostante non riuscisse a comprenderne il significato, quelle parole cullarono il piccolo, steso sulla poca paglia che gli era stata concessa come giaciglio, mentre l’ umidità gli entrava sin sotto le vesti, abbracciandolo, come una madre morte, tentando di tranquillizzarlo dal fato imminente.
L’ indomani, Reks sapeva che non avrebbe più riaperto gli occhi. Finiva lì la vita del bambino degli halfling, chiuso nella prigione del Regno di Dosterrazan, vegliato dal canto di una donna sconosciuta, pietosa della sua anima, mentre l’ unica che avrebbe voluto al suo fianco, era da qualche parte là fuori, e lo attendeva, forse in un luogo diverso, o in un destino diverso, ma chissà quando si sarebbero ricongiunti...
Eppure, lui sorrideva.
Appena ci rivedremo, mi devo ricordare di chiederti cosa volessi dirmi, quell’ ultima notte nella nostra casa…Chiuse gli occhi. E il canto cessò.
Il passato
L’ elfa risalì la scala, il sorriso sul suo volto, sembrava così fuori luogo, eppure, appena sparì inghiottita dalla luce del giorno, Reks sperò il suo ritorno, anche se la realtà si arrampicava nei suoi pensieri come edera velenosa e disegnava il terrore nei suoi occhi, che pizzicavano, per le lacrime imminenti della verità.
Non era pronto per dire addio alla sua maestra, così dopo pochi minuti fermo davanti a quella scala e preso coraggio, la seguì, a breve distanza per non perderla di vista.
L’ elfa dalla pelle scura, avvolta nel suo mantello bianco, sembrava camminare sospesa da terra, con la mente immersa in chissà quali ricordi, diretta chissà verso dove.
Il bambino dai capelli biondi e gli occhi grandi color mandorla, lucidi e malinconici, seguiva la ladra passo dopo passo, pallido in volto, senza aver paura di farsi sorprendere. Voleva seguirla ovunque, perderla significava tornare alla sua vecchia vita, impossibile immaginarlo, dopo aver conosciuto l’ amore di un’ amica, seppur fredda e silenziosa, ma dai gesti dolci e pieni d’ affetto, come quelli della sua Leavonne.
La strada interminabile finì per condurli fuori città, dove, Reks non lo sapeva con precisione, non era mai andato fuori dalle mura di Ringmont City, non gli importava nemmeno, bastava che il mantello bianco fosse ancora lì, davanti a lui.
Senza accorgersene, dopo un’ interminabile discesa, si ritrovò nel buio, dove la pietra avvolgeva sia lui che Leavonne.
Erano in un’ immensa grotta, un passaggio sotterraneo rischiarato da strani bagliori violacei.
Dei vecchi racconti di suo padre riecheggiarono nella sua mente, parlavano di un popolo dimenticato, di una terra sospesa tra l’ inferno e il cielo: Dosterrazan, la città degli elfi corrotti, dove nessuno era il benvenuto e gli elfi dell’ oscurità regnavano nel caos, detestando tutte le creature della superficie, addossandogli ogni colpa delle loro sventure.
Apparvero vie strettissime e spigolose, su cui si affacciavano in un caos architettonico case, palazzi, piazze e monumenti intagliati in pietra cristallina, nera come la pece, che brillava di tenui bagliori indaco. Reks concesse uno sguardo attorno a sé, abbagliato da quel luogo sconosciuto si sentì schiacciato, abituato com'era alla luce della capitale, e si fermò, tra la folla nera che si muoveva frenetica.
Tutti erano elfi oscuri, dagli occhi tenuti bassi sul terreno e lo sguardo tediato e vuoto, all’ halfling sembrava di scorgere ovunque lo sguardo che mille volte aveva visto impresso sul volto della sua maestra… Leavonne…
Leavonne?! Dove era finita?!Nel guardarsi attorno, il bambino aveva perso di vista la donna, il panico lo attanagliò, non riusciva a muoversi dal terrore, si voltava a destra e sinistra, cercando di scorgere l’ elfa, ma notò solo un bagliore bianco in lontananza, ma trascinato via dalla folla, poté solo allungare le mani verso quel punto ormai distante, mentre cadeva a terra, schiacciato da persone che nemmeno si accorgevano di lui e lo spingevano come onde verso gli scogli, i bordi delle strade.
Passò forse un’ ora, ma le vie sembravano tutte uguali, e il ladruncolo non vedeva più il mantello della sua maestra, era scomparso, e ora era solo, perso nella città di quelle creature che presto sarebbero state a lui avverse…
~
Era apparso come uno spettro, da uno dei cunicoli d’ ingresso, accompagnando sua figlia, poi era stato travolto dalla massa di popolani e ora stava lì, seduto sull’ angolo della strada, a piangere.
L’ anziana elfa fissava il piccolo essere del regno della luce da un bacile d’ acqua nera, mentre un’ immensa rabbia ribolliva dentro di lei, tanto che alzando il braccio tempestato di gingilli e anelli colorati, andò a frantumare l’ immagine nell’ acqua, facendo rovesciare il bacile a terra.
Urlò di rabbia la Matrona, digrignando i denti e facendo ondeggiare i capelli bianchi davanti al viso, anziano, ma ancora pieno di fascino, di Rèimés DaeNa Arithemenazai, membro maggiore del consiglio di Dosterrazan, fidata Gran Sacerdotessa di Livonth, la dea del tempo perduto.
Come possibile, che la sua amata figliola, dopo averla tanto cercata, tornasse accompagnata da un abominio come un halfling? Esseri spregevoli, ratti della superficie sfuggevoli, che si annidavano ovunque?
Dentro di lei, le grida di Livonth si levarono alte, contro quell’ invasore del regno nascosto degli elfi, e quelle urla divennero della Matrona, che afferrando da sotto il suo pesante abito nero un lungo coltello dorato, lo scaraventò verso la porta d’ ingresso, nel mentre veniva aperta da un soldato semplice, che rimasto pietrificato dalla paura e dalla sorpresa, riuscì solo balbettando, a pronunciare il suo annuncio: “
Matrona Rèimés, v-vostra figlia Ashe è tornata, l’ accompagna s-s-sua sorella, Coral” e si scansò dalla porta per lasciar passare due elfe, una dai capelli cortissimi e ricci, bianchi e lucenti e dal fisico sottilissimo, fasciato in una leggera tunica viola, con sopra incisi centinaia di ghirigori dorati, e appena dietro di lei, la giovane Ashe, ancora avvolta nel suo mantello bianco orlato d’oro.
La Matrona fece un segno al soldato, che si avviò all’ uscita, chiudendosi dietro la porta, e lasciando le tre donne sole nell’ oscurità della stanza circolare. La visione delle tre donne passò subito allo spettro infrarosso.
Coral, assieme a suo fratello gemello Khovu, era la più giovane dei figli di Rèimés, e suo era stato il compito di ricondurre Ashe a casa, dopo lunghi anni di ricerca da parte della primogenita Bliize, e ora sperava di essere ripagata dalla madre per i suoi sforzi, ma quella non la guardò nemmeno, i suoi occhi erano tutti per la secondogenita, ferma davanti al grosso trono, il cui volto nello spettro infrarosso appariva freddo e piegato verso terra.
La Matrona fece un cenno a Coral, che avvicinandosi alla sorella, le abbassò con malagrazia il cappuccio dal capo, facendogli alzare la testa, verso la madre.
“
Molto meglio…” fu l’ unico commento dell’ anziana madre, mentre rivedeva finalmente il cupo sguardo dell’ amata figlia ritrovata, “
Ora vattene Coral, e torna ai tuoi studi…”.
“
Matrona, io…” provò a chiedere timidamente l’ elfa, ma un solo sguardo intimidatorio della madre, gli fece morire in gola le parole che voleva pronunciare, e la fecero precipitare immediatamente fuori dalla sala, con le gambe tremanti dal terrore.
Rèimés, rimasta sola con la secondogenita, le si avvicinò con passo solenne, alzando le braccia e posandole sulle spalle della giovane, il cui sguardo, ancora vuoto e cupo, tornava a concentrarsi sul pavimento nero.
L’ anziana elfa non era contenta di quegli occhi bassi, e accarezzando il volto della figlia, lo alzò, facendo incrociare i loro occhi, senza vie di fuga.
Ashe restava indifferente a quelle carezze, era venuta lì di sua volontà, eppure ciò non significava che era davvero quello il luogo dove voleva stare, ma sarebbe stato inutile parlare, era meglio così, almeno lo aveva salvato…
Salvato chi?Il sigillo sulla sua spalla agì, senza dare segni nemmeno nell’ oscurità, e bloccò la memoria dell’ elfa prima che ricordasse il perché avesse davvero scelto di tornare in quell’ oscuro mondo senza reagire.
La Matrona inchiodò i suoi occhi sulla figlia, serrando le dita sulle sue guance, graffiandola con le lunghissime unghie scure, sogghignando e sussurrandole: “
Con chi sei giunta fino a qui, figlia mia?”.
“
Nessuno” rispose la ragazza, e quella sola parola fu talmente secca e priva d’ emozioni, che l’ anziana madre non ne dubitò minimamente, così voltò lo sguardo verso il bacile rovesciato dove aveva visto l’ halfling del regno della luce, e continuando a sorridere malvagiamente, tornò a guardare Ashe, lasciandole il volto, che ritornò verso il pavimento, ma non curandosene, continuò a dire: “
Allora sappi, che qualcuno ti ha seguito, e non era un elfo oscuro, né tanto meno uno dei tuoi fratelli o sorelle, ma un abominio del mondo della luce, un membro della razza degli halfling, i topi del mondo” e fece una pausa, ma il suo discorso non aveva scosso minimamente la figlia.
“
Non senti Livonth dentro di te urlare? Io l’ avverto, è furente, detesta quella creatura, io la odio come lei, il suo odio è il mio, perché è questo il profondo dovere delle sacerdotesse, avvertire i lamenti della dea, e tu, che sei la Consacrata, DOVRESTI AVVERTIRLO ANCOR PIU’ DI ME!” le ultime parole della Matrona esplosero in un crescendo di cieca rabbia selvaggia, sbattendo i piedi a terra. Ashe allora sobbalzò, perché anche se era vuota, avvertiva i lamenti dell’ abominio, l’ avatar di Livonth che era stato impiantato dentro di lei, che gridò all’ unisono con sua madre.
Era vero, quella dea voleva il suo tributo di sangue, quello del bambino della luce, chiunque egli fosse, ovunque fosse, doveva essere ucciso, non poteva restare a Dosterrazan. Ashe, non sapendo in realtà a chi si stesse riferendo, si limitò a fare un cenno col capo, alzando lo sguardo, quasi triste, sulla madre, che ora sorrideva, ma le strinse le spalle e a gran voce, iniziò a gridare un tremendo giuramento di dolore e odio, eco degli ordini superiori dell’ infame divinità del tempo perduto.
Ashe fu spinta a inginocchiarsi a terra, mentre quelle parole venivano incise a fuoco e ghiaccio nel suo cuore:
“
La vendetta della dea riecheggia nel mio cuore,
morte e disperazione per il figlio della luce!
Se tramite te l’ Halfling non troverà la morte
Non sarai mai più benvenuta di Dosterrazan,
Disconosciuta per sempre,
Abbandonata per sempre,
Distrutti siano per sempre
Tutti i legami della Natura Oscura
Se tu non farai diventare pallido il nemico della Tua Signora!
Ascoltate, dea del tempo perduto, ascoltate il giuramento di una madre!
All’ omicidio, di uno dei tuoi nemici, per mano della tua Consacrata!”.
La formula immonda terminò nel riverbero della stanza, e Ashe, senza altre parole, conscia della sua missione, partì verso la città.
La Matrona, la osservò dalla finestra, mentre quella s’ incamminava per le vie, e chiamando vicino a sé l’ altra figlia, Coral, gli diede un secco ordine, accolto con gioia dalla giovane sacerdotessa: “
Seguila” e la giovane elfa oscura, sparì in una nube nera, mentre Rèimés, riguardando verso la città dal suo terrazzo, sospirava di preoccupazione.
Quella era la loro realtà, il loro destino di elfi oscuri, perché Ashe non lo accettava? ~
Le vie sembravano tutte uguali, ma non per Ashe, i cui ricordi appartenevano a quei vicoli stretti, tanto che ben presto, giunse nella piazza, dove nell’ ombra, un punto luminoso e dorato, brillava e piangeva.
Non lo vide in volto, mentre la folla si allontanava dal punto in cui si dirigeva e nel mentre lei estraeva il pugnale della sua famiglia, con lo sguardo puntato verso il punto dorato, che sempre di più diventava nitido alla sua vista.
Era un ragazzino, un bambino forse capitato lì per caso, che colpa aveva?
O non era lì per caso?Perché doveva uccidere quella creatura di un mondo bello, come quello da cui proveniva il suo Zant?
Il bambino gli ricordò terribilmente Mizelf…Il vortice di pensieri continuava, e la Consacrata giunse così davanti al ragazzino, il cui volto era celato tra le ginocchia, coperto dalle mani tremanti. Non si era accorto di lei, e l’ elfa, abbassandosi, gli afferrò i capelli, costringendolo ad alzare gli occhi, mentre quello dalla paura cercava di allontanare la presa della donna, e batteva i piedi, mentre veniva alzato di forza, ma quando posò lo sguardo su di lei, non assunse uno sguardo di terrore, ma un sorriso rincuorato, e smise di dimenarsi. Si fermò, si mise in piedi, mentre calde lacrime iniziarono a rigargli il volto.
L’ elfa non capiva quella tempesta di emozioni che gli turbinava nella testa, eppure il ruggito di un drago gli rimbombò nella mente, e alla fine, furono le parole del bambino dagli occhi grandi, che distrussero l’ ultimo specchio che negava il passato:
“
Leavonne, scusa se ti ho seguita senza permesso…” disse Reks alla sua maestra, mentre Ashe allentava la presa e ricordava ogni cosa.
Quel ragazzino era sempre così, l’ aveva sempre seguita, e per sempre sarebbe rimasto con lei.La ladra riacquisì i ricordi sigillati e per un attimo sorrise, lasciando libero il bambino e facendo cadere a terra il coltello, ma sapeva, che non doveva stare lì, doveva fuggire subito!
“
Vatten-…” provò a sussurrargli, ma il respiro le fu mozzato, quando una spessa lama le passò da parte a parte lo stomaco, e Reks, davanti a lei, si sporcò del suo sangue vermiglio e gridò di terrore, estraendo le daghe e gettandosi sull’ aggressore: un'altra elfa dai capelli cortissimi.
Coral vide il bambino avanzare verso di lei alla cieca, e con uno schiaffo rapidissimo lo sbatté a terra e due guardie lo afferrarono immediatamente, impedendogli ogni fuga.
La sacerdotessa sorrise, e tornò a guardare verso la sorella, che si era voltata, ma per il dolore della ferita, non era riuscita ad emettere un fiato: “
Sapevo che non ce l’avresti fatta, la luce ti ha corrotto oramai, chi era questo? Un tuo amico? Ebbene, ora diventerà carne in sacrificio per la Signora del Tempo Perduto. Dovresti rallegrati di ciò Lady Ashe, ma forse, per te tutto ciò è insignificante! Dirò tutto alla Matrona, e chissà… - tirò via la spada dal corpo della sorella-
magari, domani mattina sarò io la secondogenita, se non sorriderai mentre questo bambino muore”.
E con un cenno del capo alle due guardie, quelle iniziarono a trascinare via Reks, che fissava la sua maestra, distesa a terra in lacrime.
No!Urlò nella mente e strattonandosi, riuscì a sfuggire dalla presa delle guardie e correndo, inciampò, davanti alla sua Leavonne, e abbracciandola, le chiese scusa mille volte, ma le guardie lo ripresero, gli colpirono la testa e perse i sensi.
Leavonne a terra, pregò per la prima volta in vita sua, ma non quella dea maledetta, ma qualsiasi altra, perché il piccolo si salvasse, ma sapeva che ormai era troppo tardi.
Era ancora una volta il trionfo del caos, del crudele mondo della sua famiglia. Ora Leavonne aveva perso tutto, non le restava più nulla, non le importava più nulla, ma continuò a pregare fino alla fine, quando lo sguardo le s’ annebbiò.
Il Presente
Nella città, l’ ora del risveglio e del sacrificio era imminente, ma il bambino era già andato via, restando però in quella cella. Qualche divinità pietosa lo aveva portato via nel freddo della notte, prima che un sacrificio abominevole deturpasse quell’ anima buona.
Forse, era già con Leavonne, e ora erano liberi…Edited by Xx_Ultima_Angelo_xX - 31/1/2012, 11:47