Lavori: FDR - FanFiction di Ruolo

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view post Posted on 16/1/2012, 11:01
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Quando si posta la fic è obbligatorio postare le seguenti voci a inizio topic:

Titolo: Il titolo
Genere: Il o i generi
Tipo: Se one shot, flash fic, capitoli, etc...
Rating: Il rating
Brano: Il brano della canzone e l'artista, se volete anche il link
Personaggi: Oltre al vostro che va scritto, anche coloro che sono dentro
Note: Voce non obbligatoria. Potete dire qualcosa riguardo la fic.

La fic non deve superare le quattro pagine word in carattere Times New Roman dimensione 12, se sgarrate di qualche riga potete essere condonati, ma una quinta pagina effettiva costerà una squalifica immediata. Tralasciare uno dei campi obbligatori scritti sopra costerà una penalità. Il sistema di valutazione delle fic è ancora da decidere, e sarà decisione dei giudici scelti. Tutti i lavori postati o editati oltre la mezzanotte saranno squalificati. Potete usare i personaggi degli utenti o i png del GDR senza dover chiedere il permesso, non venendo inserito nella storia.
 
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view post Posted on 25/1/2012, 21:47
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Now drink.

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Titolo: "Tirtent, morte, inizio"
Genere: Introspettivo
Tipo: One Shot
Rating: Verde/Giallo
Brano: No Fate - Vicious Rumors
Sito con il testo della canzone:
Personaggi: Franz Tirtent (Fratello di Victor), William (Animale domestico di Victor)
Nota: Questa fic parla di due momenti principali nella vita di Victor, ossia una delle notti successive alla morte di suo padre in cui arriva alla realizazzione dell'essere diventato quasi del tutto insensibile agli eventi tragici intorno a lui ed il primo giorno della sua partenza, dove si ritrova a rendersi conto del prezzo di essere un Tirtent "fuori dal coro".

Passai la notte successiva al funerale di mio padre completamente insonne, di fronte allo specchio della mia camera. Non che fosse la prima da quando la malattia aveva reclamato la sua vita pochi giorni prima durante una delle nostre tipiche battaglie con dei mucchi d'ossa rianimati, ma per quanto io volessi piangere... il mio corpo semplicemente non rispondeva. Ero disperato, sentivo come se il mio cuore stesse venendo straziato dagli artigli di un uccello rapace, eppure nessuna lacrima riusciva ad uscire dai miei occhi: avevo anche cercato di premere le unghie contro la mia fronte per cercare di far uscire quella dannata acqua salata che doveva rigarmi il volto... eppure, ogni volta che mi guardavo allo specchio non vedevo altro che la solita faccia apatica, per quanto potesse essere rigata dal sangue a causa del male fisico che finivo per causarmi. Alla fine, mi venne in mente la domanda più assurda della mia vita: "ma tu hai mai provato dei sentimenti?".
Cercai anche di ricordarmi l'ultima volta che avevo provato una sensazione così lancinante di dolore per un qualsiasi evento nella mia vita, eppure per quanto mi sforzassi non mi veniva in mente niente, come se tutta la mia vita, tutto il mio essere fosse stato costruito su un'illusione, od almeno su una base costruita per essere umana solo all'apparenza.

"All I am, all I feel... All of this, isn't real"

Ahimè, avevo dannatamente ragione: cercai di pensare a come avevo sempre visto i miei familiari, come avevo visto me stesso in quei dannatissimo vent'anni o poco più... per quanto cercassi di scavare a fondo, alla fine riuscivo solo a vedere quanto fossi stato intossicato da uno stile di vita che non mi apparteneva. Non riuscivo ad essere un becchino privo di emozioni, almeno non nel profondo del mio animo... eppure, la vita che mi era stata imposta era solo la copia sputata delle vite degli scavafossi che erano venuti prima di me. Cos'era? Come avrebbe definito una cosa del genere una persona normale?
... "Destino"?

"I don't believe in fate"

Ecco, appena quella parola prese forma nei miei pensieri, vidi che il mio volto diventò improvvisamente espressivo: le sopracciglia si abbassarono sui miei occhi, dando a questi ultimi un'aria minacciosa, gli angoli della mia bocca si abbassarono fin quasi ai limiti dettati dalla mia mascella inferiore e dalla mia barba... finalmente riuscivo ad esternare quello che provavo.
"Destino".
Una sensazione di disgusto fu chiaramente percettibile all'entrata della mia gola, come se dovessi vomitare da un momento all'altro.
"Destino"?!
Il mio corpo tremava, tanto era grande la rabbia che sentivo dentro di me al solo sentire il suono disgustoso di quella parola nella mia mente.
Dovevo seriamente ridurmi a passare tutta la mia vita in quello stato? A dover vedere le persone intorno a me morire senza che io potessi piangerle? Se quello era un patto che dovevo fare con il Mietitore sin dalla nascita solo perchè tutti i miei antenati erano scavafossi, allora era una grossa fregatura. Uno dei miei antenati si chiamava Victor Tirtent? Uno di loro aveva mai dovuto perdere così prematuramente il suo genitore? Era forse troppo tardi per cambiare quella spirale di indifferenza in cui la mia famiglia era caduta? No, non era troppo tardi... non per me: mi ero come svegliato da un incubo, e adesso avevo la possibilità di scegliere cosa fare della mia vita...


"Countless nights, endless roads"

Il giorno dopo partii di buon'ora dal cimitero gestito dalla mia famiglia con il mio corvo, William, in spalla... non avevo iniziato il mio viaggio da neanche quattro ore, eppure sentivo che il tempo che avrei passato lontano da casa sarebbe stato sempre maggiore: un numero incalcolabile di notti all'agghiaccio, un cammino interminabile... per iniziare un viaggio, alla fine, bisognava partire da zero. Avevo già camminato ben oltre i luoghi che ero abituato a vedere ogni giorno, fino a raggiungere un piccolo sentiero in mezzo ai campi, e la strada sembrava non finire mai, sparendo all'orizzonte... meglio così, non avevo mai avuto una vera e propria destinazione: non stavo cercando un'avventura epica da tramandare alle generazioni future, volevo soltanto trovare qualcosa per dare "vita" alla mia vita, in un certo senso. Tuttavia, una faccia familiare sembrava desiderare la fine prematura di quella mia ricerca.
Una voce giovane, che avevo sentito sin da quando avevo sette anni come semplice vagito, richiamò la mia attenzione dalla strada che mi stavo lasciando alle spalle: mio fratello Franz, che sembrava una versione più giovane di me senza barba e coi capelli corti, mi aveva seguito con in mano la pala che era stata tramandata nella nostra famiglia da tempo immemore, la cara "Vecchia Obby". Un'attrezzo da scavo ed un'arma contro i non-morti, che sarebbe dovuta passare a me come figlio maggiore ed erede delle responsabilità come guardiano del cimitero... Franz, con quell'artefatto, voleva mettermi K.O. per riportarmi a casa, così che potessi abbracciare la tradizione dei Tirtent.

"Free to choose, free to be, free to wander endlessly"

A quel punto, chiesi il motivo per cui avrei dovuto seguire tale tradizione, visto che per quanto rispettassi i riti funebri come consacrazione della fine di una vita, non riuscivo ad accettare il fatto che avrei dovuto perdere la mia umanità, il diritto di scegliere cosa fare di me stesso e della mia vita... il diritto di piangere la morte di una persona cara. Alla fine, non volevo mandare la mia vita a rotoli come molti miei coetanei che scappavano di casa per diventare mercenari o soldati, ma semplicemente fare esperienza nel mondo all'infuori di quel cimitero, lontano da vedove in lutto e cadaveri, mobili o meno. Di tutta risposta, il mio fratellino rimase sulle sue convinzioni, iniziando a caricarmi con la pala di famiglia stretta in mano, ancora più che intenzionato ad atterrare il suo fratellone e facendo scappare Willy dalla mia spalla.
Quell'incontro non potè che farmi odiare e rinnegare ancora di più il "destino" che la nostra famiglia si era imposta: era davvero così importante restare a marcire assieme a dei cadaveri a te sconosciuti per il resto della tua vita? Sembrava essere abbastanza importante da costringere due fratelli a dover combattere tra di loro. Per quanto mio fratello cercasse di colpirmi con il lato tagliente della sua arma, forte del suo talento naturale nel combattere, io avevo dalla mia parte l'esperienza di sette anni in più che lui non avrebbe potuto colmare così rapidamente: dopo un tentato affondo al mio costato, riuscii a disarmare Franz, buttandolo a terra nel processo, per poi puntare verso di lui l'estremità mortale della Vecchia Obby.

"I don't believe in heaven sent"

L'ossidiana di cui era fatta la testa della pala rifletteva la luce del sole che si trovava sopra alle nostre teste, mentre un silenzio inquietante era interrotto solo dal fruscio delle piante neonate che erano state piantate nei campi intorno a noi... cosa doveva significare quel momento per noi? Io non avevo avuto esitazione nel controattaccare il suo assalto, ero più che intenzionato a seguire la mia scelta di vita, ma sentivo una crudele ironia in quegli attimi: se avessi lasciato andare Franz, forse lui sarebbe tornato più tardi per riportarmi a "casa", con la forza se fosse stato necessario, mentre se lo avessi ucciso, o se gli avessi inflitto una ferita che gli avrebbe impedito permanentemente di inseguirmi, sarei stato libero ed avrei potuto viaggiare quanto volevo... ma in compenso sarei stato tormentato in eterno dal rimorso.
Cos'era, una prova come quella di Abramo quando dovette sacrificare suo figlio a Dio?! Era forse un segno del cielo per dirmi "vai fuori dalla strada che ti è stata imposta e non avrai pace, in un modo o nell'altro"?

"I don't believe"

Tolsi la mia arma dalla sua posizione minacciosa, per poi scuotere la testa e far rialzare a forza il "piccolo" Franz tenendolo per la collottola: lo sollevai un pò dal terreno, visto che volevo guardarlo dritto negli occhi, e cominciò a dimenarsi, probabilmente temendo chissà quale trattamente da parte del suo "fratellone eretico". Tremai nuovamente per la rabbia: cos'era che ci rendeva così diversi?! Eravamo cresciuti praticamente allo stesso modo, eppure adesso ci stavamo guardando a vicenda con rabbia, in un momento in cui erano semplicemente le nostre idee a dividerci: io desideravo una vita guidata dal mio "caos personale, dalla mia ricerca della libertà... e molto probabilmente il mio fratellino voleva solo mantenere la famiglia unita grazie alla tradizione che era stata tramandata di generazione in generazione. Rinnegando le sue idee, era come se lo abbandonassi... purtroppo, non potevo neanche sottomettermi alla sua idea di "famiglia unita e felice", non c'era più posto per me in quel luogo dove ogni cadavere era solo un corpo senza una storia dietro di sè, incluso quello del nostro stesso padre. Continuando a tenere mio fratello per la collottola, chiusi gli occhi con forza e poi lo lanciai - letteralmente - alla mia sinistra, al lato della strada che divideva la terra battuta dai limiti dei campi, per poi mettermi a correre il più rapidamente possibile sul sentiero che stavo seguendo prima di quel duello indesiderato, quasi senza rendermi conto di tenere ancora stretta la Vecchia Obby, ma soprattutto senza voltarmi indietro. La voce rotta di mio fratello si allontanò sempre di più, fino a sparire...
Si stava facendo buio ormai, e quando le mie gambe cedettero allo sforzo a cui le avevo sottoposte per seminare Franz mi dovetti fermare a forza, visto che finii pancia a terra, ansimante. Mi voltai, e sembrava proprio che mi fossi lasciato la mia vecchia vita alle spalle... le mie azioni non potevano essere riscritte, avevo deciso come avrei cercato di spendere il resto della mia vita e non potevo permettermi rimorsi o ripensamenti. Detto in tutta onestà, non mi sarebbe stato neanche concesso averne dopo la mia "diserzione" dai doveri di figlio maggiore, ma andava bene così. Il mio compare dal piumaggio color pece riuscì finalmente a raggiungermi ed atterrò poco vicino a me, dandomi delle beccate leggere sul braccio sinistro come per accertarsi che fossi ancora vivo. La risposta a questi dubbi fu il fatto che mi rimisi lentamente in ginocchio, ansimante per lo sforzo eseguito... il sangue che scorreva nelle mie tempie mi faceva rimbombare la testa come se fosse stato un tamburo, eppure dopo quella corsa folle mi sentivo stranamente tranquillo.
Non avrei avuto altro modo per andarmene da quel luogo, per quanto fosse stato doloroso per me ed il mio parentado: ero costretto ad avanzare stringendo i denti, contando solo su me stesso e sulle mie scelte per mostrare che non ero nel torto... od almeno che non era una scelta che avevo preso alla leggera.
"I believe in who I am"

Edited by AlexMockushin - 31/1/2012, 22:31
 
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view post Posted on 28/1/2012, 19:53
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Titolo: White Cliff
Genere: Introspettivo (?)
Tipo: One Shot
Rating: Verde (?)
Brano: Eric Johnson - Cliffs of Dover
Personaggi: Logan Lohen, Justin Light.
Note: Chiedo scusa a Justin per l’uso improprio del suo mp3


La luce entrava debolmente dalla finestra, dopo tutto era solo l’alba pensò Logan Lohen destato dal suo sonno da pochi minuti. Dopo essere stato salvato da un amichevole prete, Justin Light per l’esattezza, avevano trovato rifugio in una piccola casupola di legno, dove avevano passato la notte. Fortunatamente l’edificio aveva tre stanze, due completamente spoglie e una latrina quasi funzionante. Il ragazzo si passò una mano fra i capelli rossicci e sbadigliando si alzò da suo giaciglio improvvisato, un lenzuolo appoggiato sul pavimento e un altro usato come coperta, e si diresse verso la finestra da cui filtrava la luce. Guardando fuori notò che Justin si stava allenando, scagliava pugni verso nemici immaginari, poi si scansava, saltava, correva e ancora fingeva di colpire. I biondi e corti capelli si muovevano, e piccole gocce di sudore si staccavano dal suo fisico asciutto, scoperto al freddo mattutino. Il prete si accorse subito di essere osservato, interruppe quindi il suo immaginario combattimento e muovendo una mano salutò il ragazzo che rapito lo osservava da una finestra. Poi si chinò per raccogliere un bastone, e iniziò ad agitarlo e ad usarlo come se fosse un’arma in direzione di quelli che nella sua mente dovevano essere dei feroci mostri. Si abbassava, saltava, si spostava di lato e fingeva affondi, parate e scoccate come se brandisse una maestosa spada anziché quel rozzo bastone. Stanco di allenarsi il prete si asciugò il sudore con uno straccio malconcio e si rivestì, poi si avvicinò alla abitazione, aprì la porta e disse «Logan io vado a pregare» poi chiuse la porta e si allontanò verso la foresta. Justin non era un tipo di molte parole, ma del resto nemmeno Logan lo era, quest’ultimo misurò il pavimento della stanza in cui aveva dormito con piccoli passi, scoprendo che il pavimento, fatto con delle spesse e polverose travi lignee non scricchiolava poi così tanto come gli era invece sembrato la notte precedente. Il ragazzo non era riuscito a prendere sonno perché ogni movimento, o suo o del prete, produceva uno sgradevole suono scricchiolante. Passandosi una mano fra i capelli, si buttò a terra coricandosi nuovamente sul giaciglio improvvisato, notando solo ora un piccolo dettaglio insignificante fra i lenzuoli che aveva usato il compagno di viaggio. Un oggetto bianco sporgeva da sotto uno straccio arrotolato, che era stato usato come cuscino. Curioso il giovane dai capelli rossicci, si sporse e afferrò saldamente lo strano aggeggio. Era un oggetto dalla forma cilindrica, non più lungo di cinque centimetri, raffigurava uno strano teschio che terminava con tre punte lunghe punte. Sollevandolo notò che ad esso erano attaccato un filo, che poi si divideva in due, entrambe le biforcazioni terminavano con la stesso strano teschio solo in dimensioni ridotte. Deve essere l’aggeggio che Justin usa per ascoltare la musica pensò Logan, sentendo uscire dai due teschi più piccoli alcuni suoni. «Se lo scopre di sicuro mi ammazza, quindi acqua in bocca» sussurrò ad un piccolo ragno nero, che camminava tranquillamente sulla parete. Poi prese in mano lo strano oggetto bianco e si appoggio entrambi i teschi più piccoli alle orecchie. La musica era assordante, inizialmente non riusciva nemmeno a distinguere i suoni, ma dopo poco si abituò e rimase a bocca aperta. Non riusciva a capire che strumento suonasse quella melodia, non riusciva nemmeno a immaginarlo, dopo tutto non si era mai interessato di quelle cose. Ciò che sentì gli riportò alla mente una marea di ricordi piacevoli ma allo stesso tempo malinconici anche se molto divertenti. Il ragazzo non riuscì a capire se quello che ascoltava gli piacesse o meno, troppi sentimenti contrastanti si stavano affollando nella sua mente. Poi finalmente comparì in quella confusione un immagine chiara come se fosse un ricordo. Una bianca scogliera, altissima e molto estesa. Le onde si infrangevano contro di essa placidamente, come se ormai fossero stanche di scontrarsi contro quella roccia che non cedeva. Una lotta fra mare e roccia, le onde schiumavano, la candida roccia rimaneva immobile. Logan si sentì più piccolo di quello che già era. L’immagine che si era figurata nella sua mente non era un vero e proprio ricordo, ma apparteneva alla fantasia di uno scrittore. Si ricordò di un libro aperto, che parlava di un posto simile a quello che lui si era immaginato. «Un viaggio è sempre un viaggio, anche se si sta fermi» sussurrò il giovane dai capelli rossi. «Vero ragnetto.
 
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view post Posted on 28/1/2012, 21:19
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Titolo: Cuor di Ghiaccio
Genere: Sentimentale
Tipo: One Shot
Rating: Verde
Brano: Frozen - Madonna
Personaggi: Joseph Alexander - Giulia Blackrose
Note: ///


Illuminato e riscaldato dalla flebile fiamma di un camino, il giovane Joseph giaceva sulla sua comoda poltrona per riposare le sue fragili membra. Seduto su una raffinata lavorazione di pelle pregiata, rinforzata ai bordi da oro puro, mentre i bracciali terminavano con teschi umani. In quella stanza vi era unicamente quel camino fatto con varie pietre incastonate tra loro, mentre i muri laterali erano coperti da vistose librerie stracolme di documenti e libri. Un ambiente molto tranquillo e piacevole per Joseph, tant’è che stava beatamente meditando sul da farsi, il mercato nero era in continuo mutamento.
D’improvviso s’aprì una delle ante dell’imponente porta, mentre a diffondersi come l’aria il suono dei tacchi che picchiettavano su quella pavimentazione di freddo e gelido marmo. Una splendida donna, dai lunghi capelli corvini che le cadevano fino al bacino, accompagnati da due smeraldi luminosi che risaltavano la bellezza di quel volto. S’avvicinò all’uomo e mostrò il suo grazioso corpo ponendosi d’innanzi alle ribelli fiamme, sorridendo maliziosa e perversa.
-Mio signore, sembrate teso, lasciate che vi dia conforto.- Sentenziò la donna, che si sedette tra le gambe accavallate dell’uomo, cingendo le braccia intorno al suo collo, carezzandogli la nuca delicatamente. Joseph lasciò che quella mano scompigliasse la sua folta chioma scura, osservandola con quei freddi occhi come stiletti di ghiaccio, divorandola con lo sguardo. Delicatamente il mercante poggiò le sue mani intorno ai fianchi della donna, congiungendo poi le loro labbra in quello che si poteva ben dire un bacio passionale. Sembravano intenti a passare una magnifica serata all’insegna dell’ardore e della passione, quando l’uomo esitò, tirandosi indietro.
-Non posso Giulia, ho un affare importante da completare. - Disse freddo e con tono serio l’uomo, lasciando la presa su di lei e alzandosi, facendo cadere delicatamente la donna sulla poltrona al suo posto. Si diede una sistemata ai capelli, dirigendosi verso l’uscita, mentre dava una controllata alle condizioni del suo abito elegante. La donna emise un lungo sospiro, osservandolo fuggire fin quando la sua figura non scomparve nel buio della notte, per poi posare lo sguardo assopito al suolo.
-Vedi solamente ciò che i tuoi occhi vogliono vedere, come può essere la vita come ladesideri?- Sussurrò flebile lei, in un monologo malinconico, con lo sguardo perso, pensando a come sacrificasse tutto per il vile denaro. Si dice che la ricchezza porta felicità, eppure Joseph era sempre serio, pensieroso su quella poltrona nera, con gli occhi vuoti e privi di gioia. -Seifreddo… quando il tuo cuore non è aperto …- continuò lei, passandosi la mano destra sulla spalla opposta, come se un brivido le percorresse la pelle nuda.
-Sei tanto consumato con quanto puoi guadagnare, e sprechi il tuo tempo con odio e dispiacere- proseguì la giovane nel suo monologo, ma assumendo un tono decisamente più irritato. Con la mano libera andò a coprirsi il volto, a nascondere dal vento l’espressione afflitta che le rovinava i delicati lineamenti. Quel suo delicato cuore, che si struggeva per l’uomo che amava, qualcuno che non sembrava direttamente interessato a lei.
A quel punto si rialzò, compiendo qualche passo verso il caldo camino, lasciando che le vigorose fiamme si riflettessero nei suoi occhi. -Se solo potessi sciogliere il tuo cuore… non saremmo mai separati. Lasciati amare da me, tu tieni le chiavi del…- Proseguì la ragazza, tornando a un tono malinconico, lasciando la fraseincompleta, mentre il volto cadeva, e le mani congiunte si poggiavano al centro del suo petto. Lei era una donna innamorata, tanto da affliggersi con certe preoccupazioni, facendo crollare l’immagine che si era costruita come “Rosa Nera”.
-Ora non c’è ragione a dar la colpa, e dovresti sapere che soffro ugualmente.- Pronunciò lei, mentre lo sguardo si rivolse verso la porta, ancora aperta, cercando invano di incrociare gli occhi dell’amato, e che potesse udire le sue parole. Sembrava che le colpe ricadessero sempre sul lavoro, e Giulia era certa che pure Joseph, dietro a quell’espressione da fiero condottiero, celasse nell’ombra un remoto sentimento passionale per lei. Si lasciò cadere sulla poltrona, come rassegnata alla vita, trattenendo a stento le lacrime. -Se ti perdessi… il mio cuore si spezzerebbe…- concluse lei, lasciando che una singola lacrima le rigasse la gota.
Il cuore infranto era il male peggiore che una donna potesse subire, e lei di certo non desiderava ciò, avrebbe semplicemente continuato a lottare per conquistare l’amore di Joseph. -L’amore è come un uccello, deve volare. Lascia che tutto il dolore dentro di te muoia.- Disse ancora, con tono più deciso, asciugandosi quella lacrima, mentre un gelido vento entrò nella stanza, spegnendo le vivaci lingue di fuoco del camino. Immersa nel buio, sorrise maliziosa, tornando l’impavida e possente figura femminile qual era nota al mondo, incamminandosi verso l’uscita.
-Riuscirò a sciogliere quel cuore di ghiaccio, fosse l’ultima cosa che farò…-
 
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Xx_Ultima_Angelo_xX
view post Posted on 29/1/2012, 11:24




Titolo: Ora siamo liberi.
Genere: avventura, azione, drammatico.
Tipo: one-shot, what if?
Rating: giallo
Brano: La Regina della Notte – Mozart
La vendetta dell'inferno ribolle nel mio cuore,
morte e disperazione ardono in me!
Se tramite te Sarastro non troverà la morte
Non sarai mai più mia figlia
Disconosciuta per sempre,
Abbandonata per sempre,
Distrutti siano per sempre
Tutti i legami della Natura
Se tu non farai diventare pallido Sarastro!
Ascoltate, dei della Vendetta, ascoltate il giuramento di una madre!
Personaggi: Reks O’ Rogue (PG), Ashe De’ Areith (PNG), Matrona Rèimés (PNG), Coral De’ Areith (PNG).
Note: La fiction inizia d’ appena la fine del background della scheda del mio PG, quando Ashe, dopo aver deciso di sigillare tutti i ricordi che aveva su Reks, se ne va per sempre dal covo che condividevano, per tornare dalla sua famiglia a Dosterrazan.
Narra quindi di cosa sarebbe accaduto, se Reks, non pronto per dire addio alla sua maestra, l’ avesse seguita fin nel sottosuolo.
La Regina della Notte ovviamente non poteva essere Reks, così, sarà recitata dalla Matrona Rèimés, madre di Ashe u.u

ORA SIAMO LIBERI

Dall’ unica finestra di quell’ angusta prigione, un sottile raggio dei fuochi magici della città rischiarava gli ultimi istanti d’ esistenza del bambino.
Una preghiera si alzava dalla strada buia sotto l’ alta torre che lo custodiva prigioniero, rapendo i suoi pensieri, ma nonostante non riuscisse a comprenderne il significato, quelle parole cullarono il piccolo, steso sulla poca paglia che gli era stata concessa come giaciglio, mentre l’ umidità gli entrava sin sotto le vesti, abbracciandolo, come una madre morte, tentando di tranquillizzarlo dal fato imminente.
L’ indomani, Reks sapeva che non avrebbe più riaperto gli occhi. Finiva lì la vita del bambino degli halfling, chiuso nella prigione del Regno di Dosterrazan, vegliato dal canto di una donna sconosciuta, pietosa della sua anima, mentre l’ unica che avrebbe voluto al suo fianco, era da qualche parte là fuori, e lo attendeva, forse in un luogo diverso, o in un destino diverso, ma chissà quando si sarebbero ricongiunti...
Eppure, lui sorrideva.
Appena ci rivedremo, mi devo ricordare di chiederti cosa volessi dirmi, quell’ ultima notte nella nostra casa…
Chiuse gli occhi. E il canto cessò.

Il passato

L’ elfa risalì la scala, il sorriso sul suo volto, sembrava così fuori luogo, eppure, appena sparì inghiottita dalla luce del giorno, Reks sperò il suo ritorno, anche se la realtà si arrampicava nei suoi pensieri come edera velenosa e disegnava il terrore nei suoi occhi, che pizzicavano, per le lacrime imminenti della verità.
Non era pronto per dire addio alla sua maestra, così dopo pochi minuti fermo davanti a quella scala e preso coraggio, la seguì, a breve distanza per non perderla di vista.
L’ elfa dalla pelle scura, avvolta nel suo mantello bianco, sembrava camminare sospesa da terra, con la mente immersa in chissà quali ricordi, diretta chissà verso dove.
Il bambino dai capelli biondi e gli occhi grandi color mandorla, lucidi e malinconici, seguiva la ladra passo dopo passo, pallido in volto, senza aver paura di farsi sorprendere. Voleva seguirla ovunque, perderla significava tornare alla sua vecchia vita, impossibile immaginarlo, dopo aver conosciuto l’ amore di un’ amica, seppur fredda e silenziosa, ma dai gesti dolci e pieni d’ affetto, come quelli della sua Leavonne.
La strada interminabile finì per condurli fuori città, dove, Reks non lo sapeva con precisione, non era mai andato fuori dalle mura di Ringmont City, non gli importava nemmeno, bastava che il mantello bianco fosse ancora lì, davanti a lui.
Senza accorgersene, dopo un’ interminabile discesa, si ritrovò nel buio, dove la pietra avvolgeva sia lui che Leavonne.
Erano in un’ immensa grotta, un passaggio sotterraneo rischiarato da strani bagliori violacei.
Dei vecchi racconti di suo padre riecheggiarono nella sua mente, parlavano di un popolo dimenticato, di una terra sospesa tra l’ inferno e il cielo: Dosterrazan, la città degli elfi corrotti, dove nessuno era il benvenuto e gli elfi dell’ oscurità regnavano nel caos, detestando tutte le creature della superficie, addossandogli ogni colpa delle loro sventure.
Apparvero vie strettissime e spigolose, su cui si affacciavano in un caos architettonico case, palazzi, piazze e monumenti intagliati in pietra cristallina, nera come la pece, che brillava di tenui bagliori indaco. Reks concesse uno sguardo attorno a sé, abbagliato da quel luogo sconosciuto si sentì schiacciato, abituato com'era alla luce della capitale, e si fermò, tra la folla nera che si muoveva frenetica.
Tutti erano elfi oscuri, dagli occhi tenuti bassi sul terreno e lo sguardo tediato e vuoto, all’ halfling sembrava di scorgere ovunque lo sguardo che mille volte aveva visto impresso sul volto della sua maestra… Leavonne… Leavonne?! Dove era finita?!
Nel guardarsi attorno, il bambino aveva perso di vista la donna, il panico lo attanagliò, non riusciva a muoversi dal terrore, si voltava a destra e sinistra, cercando di scorgere l’ elfa, ma notò solo un bagliore bianco in lontananza, ma trascinato via dalla folla, poté solo allungare le mani verso quel punto ormai distante, mentre cadeva a terra, schiacciato da persone che nemmeno si accorgevano di lui e lo spingevano come onde verso gli scogli, i bordi delle strade.
Passò forse un’ ora, ma le vie sembravano tutte uguali, e il ladruncolo non vedeva più il mantello della sua maestra, era scomparso, e ora era solo, perso nella città di quelle creature che presto sarebbero state a lui avverse…

~

Era apparso come uno spettro, da uno dei cunicoli d’ ingresso, accompagnando sua figlia, poi era stato travolto dalla massa di popolani e ora stava lì, seduto sull’ angolo della strada, a piangere.
L’ anziana elfa fissava il piccolo essere del regno della luce da un bacile d’ acqua nera, mentre un’ immensa rabbia ribolliva dentro di lei, tanto che alzando il braccio tempestato di gingilli e anelli colorati, andò a frantumare l’ immagine nell’ acqua, facendo rovesciare il bacile a terra.
Urlò di rabbia la Matrona, digrignando i denti e facendo ondeggiare i capelli bianchi davanti al viso, anziano, ma ancora pieno di fascino, di Rèimés DaeNa Arithemenazai, membro maggiore del consiglio di Dosterrazan, fidata Gran Sacerdotessa di Livonth, la dea del tempo perduto.
Come possibile, che la sua amata figliola, dopo averla tanto cercata, tornasse accompagnata da un abominio come un halfling? Esseri spregevoli, ratti della superficie sfuggevoli, che si annidavano ovunque?
Dentro di lei, le grida di Livonth si levarono alte, contro quell’ invasore del regno nascosto degli elfi, e quelle urla divennero della Matrona, che afferrando da sotto il suo pesante abito nero un lungo coltello dorato, lo scaraventò verso la porta d’ ingresso, nel mentre veniva aperta da un soldato semplice, che rimasto pietrificato dalla paura e dalla sorpresa, riuscì solo balbettando, a pronunciare il suo annuncio: “Matrona Rèimés, v-vostra figlia Ashe è tornata, l’ accompagna s-s-sua sorella, Coral” e si scansò dalla porta per lasciar passare due elfe, una dai capelli cortissimi e ricci, bianchi e lucenti e dal fisico sottilissimo, fasciato in una leggera tunica viola, con sopra incisi centinaia di ghirigori dorati, e appena dietro di lei, la giovane Ashe, ancora avvolta nel suo mantello bianco orlato d’oro.
La Matrona fece un segno al soldato, che si avviò all’ uscita, chiudendosi dietro la porta, e lasciando le tre donne sole nell’ oscurità della stanza circolare. La visione delle tre donne passò subito allo spettro infrarosso.
Coral, assieme a suo fratello gemello Khovu, era la più giovane dei figli di Rèimés, e suo era stato il compito di ricondurre Ashe a casa, dopo lunghi anni di ricerca da parte della primogenita Bliize, e ora sperava di essere ripagata dalla madre per i suoi sforzi, ma quella non la guardò nemmeno, i suoi occhi erano tutti per la secondogenita, ferma davanti al grosso trono, il cui volto nello spettro infrarosso appariva freddo e piegato verso terra.
La Matrona fece un cenno a Coral, che avvicinandosi alla sorella, le abbassò con malagrazia il cappuccio dal capo, facendogli alzare la testa, verso la madre.
Molto meglio…” fu l’ unico commento dell’ anziana madre, mentre rivedeva finalmente il cupo sguardo dell’ amata figlia ritrovata, “Ora vattene Coral, e torna ai tuoi studi…”.
Matrona, io…” provò a chiedere timidamente l’ elfa, ma un solo sguardo intimidatorio della madre, gli fece morire in gola le parole che voleva pronunciare, e la fecero precipitare immediatamente fuori dalla sala, con le gambe tremanti dal terrore.
Rèimés, rimasta sola con la secondogenita, le si avvicinò con passo solenne, alzando le braccia e posandole sulle spalle della giovane, il cui sguardo, ancora vuoto e cupo, tornava a concentrarsi sul pavimento nero.
L’ anziana elfa non era contenta di quegli occhi bassi, e accarezzando il volto della figlia, lo alzò, facendo incrociare i loro occhi, senza vie di fuga.
Ashe restava indifferente a quelle carezze, era venuta lì di sua volontà, eppure ciò non significava che era davvero quello il luogo dove voleva stare, ma sarebbe stato inutile parlare, era meglio così, almeno lo aveva salvato… Salvato chi?
Il sigillo sulla sua spalla agì, senza dare segni nemmeno nell’ oscurità, e bloccò la memoria dell’ elfa prima che ricordasse il perché avesse davvero scelto di tornare in quell’ oscuro mondo senza reagire.
La Matrona inchiodò i suoi occhi sulla figlia, serrando le dita sulle sue guance, graffiandola con le lunghissime unghie scure, sogghignando e sussurrandole: “Con chi sei giunta fino a qui, figlia mia?”.
Nessuno” rispose la ragazza, e quella sola parola fu talmente secca e priva d’ emozioni, che l’ anziana madre non ne dubitò minimamente, così voltò lo sguardo verso il bacile rovesciato dove aveva visto l’ halfling del regno della luce, e continuando a sorridere malvagiamente, tornò a guardare Ashe, lasciandole il volto, che ritornò verso il pavimento, ma non curandosene, continuò a dire: “Allora sappi, che qualcuno ti ha seguito, e non era un elfo oscuro, né tanto meno uno dei tuoi fratelli o sorelle, ma un abominio del mondo della luce, un membro della razza degli halfling, i topi del mondo” e fece una pausa, ma il suo discorso non aveva scosso minimamente la figlia.
Non senti Livonth dentro di te urlare? Io l’ avverto, è furente, detesta quella creatura, io la odio come lei, il suo odio è il mio, perché è questo il profondo dovere delle sacerdotesse, avvertire i lamenti della dea, e tu, che sei la Consacrata, DOVRESTI AVVERTIRLO ANCOR PIU’ DI ME!” le ultime parole della Matrona esplosero in un crescendo di cieca rabbia selvaggia, sbattendo i piedi a terra. Ashe allora sobbalzò, perché anche se era vuota, avvertiva i lamenti dell’ abominio, l’ avatar di Livonth che era stato impiantato dentro di lei, che gridò all’ unisono con sua madre.
Era vero, quella dea voleva il suo tributo di sangue, quello del bambino della luce, chiunque egli fosse, ovunque fosse, doveva essere ucciso, non poteva restare a Dosterrazan. Ashe, non sapendo in realtà a chi si stesse riferendo, si limitò a fare un cenno col capo, alzando lo sguardo, quasi triste, sulla madre, che ora sorrideva, ma le strinse le spalle e a gran voce, iniziò a gridare un tremendo giuramento di dolore e odio, eco degli ordini superiori dell’ infame divinità del tempo perduto.
Ashe fu spinta a inginocchiarsi a terra, mentre quelle parole venivano incise a fuoco e ghiaccio nel suo cuore:
La vendetta della dea riecheggia nel mio cuore,
morte e disperazione per il figlio della luce!
Se tramite te l’ Halfling non troverà la morte
Non sarai mai più
benvenuta di Dosterrazan,
Disconosciuta per sempre,
Abbandonata per sempre,
Distrutti siano per sempre
Tutti i legami della Natura
Oscura
Se tu non farai diventare pallido il nemico della Tua Signora!
Ascoltate, dea del tempo perduto, ascoltate il giuramento di una madre!
All’ omicidio, di uno dei tuoi nemici, per mano della tua Consacrata!
”.
La formula immonda terminò nel riverbero della stanza, e Ashe, senza altre parole, conscia della sua missione, partì verso la città.
La Matrona, la osservò dalla finestra, mentre quella s’ incamminava per le vie, e chiamando vicino a sé l’ altra figlia, Coral, gli diede un secco ordine, accolto con gioia dalla giovane sacerdotessa: “Seguila” e la giovane elfa oscura, sparì in una nube nera, mentre Rèimés, riguardando verso la città dal suo terrazzo, sospirava di preoccupazione.
Quella era la loro realtà, il loro destino di elfi oscuri, perché Ashe non lo accettava?

~

Le vie sembravano tutte uguali, ma non per Ashe, i cui ricordi appartenevano a quei vicoli stretti, tanto che ben presto, giunse nella piazza, dove nell’ ombra, un punto luminoso e dorato, brillava e piangeva.
Non lo vide in volto, mentre la folla si allontanava dal punto in cui si dirigeva e nel mentre lei estraeva il pugnale della sua famiglia, con lo sguardo puntato verso il punto dorato, che sempre di più diventava nitido alla sua vista.
Era un ragazzino, un bambino forse capitato lì per caso, che colpa aveva?
O non era lì per caso?
Perché doveva uccidere quella creatura di un mondo bello, come quello da cui proveniva il suo Zant?
Il bambino gli ricordò terribilmente Mizelf…
Il vortice di pensieri continuava, e la Consacrata giunse così davanti al ragazzino, il cui volto era celato tra le ginocchia, coperto dalle mani tremanti. Non si era accorto di lei, e l’ elfa, abbassandosi, gli afferrò i capelli, costringendolo ad alzare gli occhi, mentre quello dalla paura cercava di allontanare la presa della donna, e batteva i piedi, mentre veniva alzato di forza, ma quando posò lo sguardo su di lei, non assunse uno sguardo di terrore, ma un sorriso rincuorato, e smise di dimenarsi. Si fermò, si mise in piedi, mentre calde lacrime iniziarono a rigargli il volto.
L’ elfa non capiva quella tempesta di emozioni che gli turbinava nella testa, eppure il ruggito di un drago gli rimbombò nella mente, e alla fine, furono le parole del bambino dagli occhi grandi, che distrussero l’ ultimo specchio che negava il passato:
Leavonne, scusa se ti ho seguita senza permesso…” disse Reks alla sua maestra, mentre Ashe allentava la presa e ricordava ogni cosa.
Quel ragazzino era sempre così, l’ aveva sempre seguita, e per sempre sarebbe rimasto con lei.
La ladra riacquisì i ricordi sigillati e per un attimo sorrise, lasciando libero il bambino e facendo cadere a terra il coltello, ma sapeva, che non doveva stare lì, doveva fuggire subito!
Vatten-…” provò a sussurrargli, ma il respiro le fu mozzato, quando una spessa lama le passò da parte a parte lo stomaco, e Reks, davanti a lei, si sporcò del suo sangue vermiglio e gridò di terrore, estraendo le daghe e gettandosi sull’ aggressore: un'altra elfa dai capelli cortissimi.
Coral vide il bambino avanzare verso di lei alla cieca, e con uno schiaffo rapidissimo lo sbatté a terra e due guardie lo afferrarono immediatamente, impedendogli ogni fuga.
La sacerdotessa sorrise, e tornò a guardare verso la sorella, che si era voltata, ma per il dolore della ferita, non era riuscita ad emettere un fiato: “Sapevo che non ce l’avresti fatta, la luce ti ha corrotto oramai, chi era questo? Un tuo amico? Ebbene, ora diventerà carne in sacrificio per la Signora del Tempo Perduto. Dovresti rallegrati di ciò Lady Ashe, ma forse, per te tutto ciò è insignificante! Dirò tutto alla Matrona, e chissà… - tirò via la spada dal corpo della sorella- magari, domani mattina sarò io la secondogenita, se non sorriderai mentre questo bambino muore”.
E con un cenno del capo alle due guardie, quelle iniziarono a trascinare via Reks, che fissava la sua maestra, distesa a terra in lacrime.
No!
Urlò nella mente e strattonandosi, riuscì a sfuggire dalla presa delle guardie e correndo, inciampò, davanti alla sua Leavonne, e abbracciandola, le chiese scusa mille volte, ma le guardie lo ripresero, gli colpirono la testa e perse i sensi.
Leavonne a terra, pregò per la prima volta in vita sua, ma non quella dea maledetta, ma qualsiasi altra, perché il piccolo si salvasse, ma sapeva che ormai era troppo tardi.
Era ancora una volta il trionfo del caos, del crudele mondo della sua famiglia.
Ora Leavonne aveva perso tutto, non le restava più nulla, non le importava più nulla, ma continuò a pregare fino alla fine, quando lo sguardo le s’ annebbiò.

Il Presente

Nella città, l’ ora del risveglio e del sacrificio era imminente, ma il bambino era già andato via, restando però in quella cella. Qualche divinità pietosa lo aveva portato via nel freddo della notte, prima che un sacrificio abominevole deturpasse quell’ anima buona.
Forse, era già con Leavonne, e ora erano liberi…

Edited by Xx_Ultima_Angelo_xX - 31/1/2012, 11:47
 
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Lady'
view post Posted on 29/1/2012, 16:28




Titolo: Violini, mucche e distruzione..
Genere: Introspettivo, demenziale
Tipo: One Shot
Rating: Verde
Brano: "Tormenta" di A. Vivaldi
Personaggi: Lille Odré
Note: spero di aver fatto qualcosa di buono xD
(Parlato, pensato, narrato)


Violini, mucche e distruzione..


Sera. O tardo pomeriggio. Comunque lei stava ancora camminando in mezzo ad una tormenta, ad Hazael. Si teneva stretta, con la mano destra, quel suo cappello, quel piccolo elmetto d'aviatore che aveva già rischiato di volarsene via. I venti, ad intervalli irregolari di qualche secondo, si facevano sempre più forti e la pioggia, uh!, ne cadeva davvero tanta e scendeva a gocce abbastanza grosse. Il suo corpo era ormai fradicio, e così lo erano anche i vestiti, e stava iniziando a puzzare di marcio, lo sentiva. Mentre la mano destra teneva forte il cappello, la sinistra copriva il viso e riparava gli occhi dal vento che le veniva contro: soffiava forte e faceva volare la canottiera lercia della giovane non-morta; ne scuoteva anche i capelli e pure i larghi pantaloni da militare ondeggiavano alle raffiche d'aria. Non ce la faceva: era uscita di casa per una passeggiata, ma dopo qualche ora si rannuvolò, ed ora eccola nel bel mezzo di una tormenta. Il cielo era così scuro, nero, reso tale da dei grossi e minacciosi nuvoloni: da lì partivano anche dei fulmini e dei rombi, che squarciavano l'oscurità del cielo illuminandola per quei pochi secondi. Roboanti, quelle scariche elettriche stavano concentrandosi su un silos nel bel mezzo della campagna, a qualche centinaio di metri da Lille: una fattoria era in balia del vento, mentre da lì partivano muggiti di creature spaventate. C'era qualcuno o se n'erano andati tutti? A quel punto, la giovane zombie si fermò dal suo cammino, tenendo il copricapo ben stretto a sé, e posò il suo sguardo a quella lontana cascina. I fulmini colpivano il silos ed ogni tanto facevano cadere pezzi di qualcosa, forse intonaco o gli stessi mattoni di cui era costituito l'edificio; lì a pochi metri c'era anche un recinto di legno, e, da lontano, Lille distingueva difficilmente gli animali al suo interno: parevano mucche, bovini comunque, ed erano grossi e spaventati. Non poté scoppiare a ridere vedendo quegli enormi animali. Eppure, mentre piangeva dalle risate, qualcosa attirò la sua attenzione: l'assenza di vento. Già, e lì si smorzò la risata, il vento stava concentrandosi in qualcosa di più potente, maestoso e distruttivo: sempre più in lontananza, i suoi occhi potevano vedere la nascita di un uragano. Una tromba d'aria che stava risucchiando qualsiasi cosa: terra, coltivazioni, rami, e cianfrusaglie varie. E si stava avvicinando alla cascina. Scoppiò a ridere di nuovo: forse le piaceva vedere ciò, forse le piaceva vedere chaos e distruzione. E la sua mente intanto elaborava una chissà quale sinfonia, con strumenti agili come il vento, ed in grado di rappresentare quel che sarebbe stato uno dei ricordi più belli della sua vita. Da quella semplice tormenta prese vita un uragano. Quel ciclone stava portando via qualsiasi cosa incontrava e stava raggiungendo velocemente quella cascina.
Ohoho! Mi immagino già la scena!
Così, divertita da quelle scene che invece avrebbero fatto piangere chiunque altro, pensava, anzi immaginava alla scena che si sarebbe venuta a creare nel momento dell'impatto. Ma la sua mente non fece nemmeno in tempo a costruire la cascina, che subito i suoi occhi si accorsero della distanza ravvicinata dell'uragano alla fattoria. Le mucche iniziavano a muggire sempre più forte, ed erano sempre più impaurite. Successe quel che successe, e l'uragano si scontrò con la fattoria. Accennò una risata appena vide tutto l'edificio esser portato via dal ciclone, e distingueva i mattoni nelle forti correnti d'aria del tornado; volarono via anche due trattori e qualche altro strumento, in più, e qui quando il tornando smantellò completamente l'edificio, si poteva vedere l'arredamento della casa. Distinse sono un grande letto e un armadio enorme, ma altre cose, e socchiuse l'occhio per provare a vedere più in là, non le riconobbe. Quelli che sembravano dei comodini potevano essere qualsiasi cosa agli occhi della zombie. Fatto stava che non le importava, anzi, continuava a ridere mentre ancora, per il vento, teneva stretto il copricapo e ogni tanto si toglieva dalla faccia alcune ciocche volanti. Ma non aveva visto ancora niente, poiché l'uragano si scontrò anche con la recinzione e quei poveri animali. Scoppiò, allora, in quella che era la risata più fragorosa che avesse mai fatto in vita sua, piegandosi anche dalle risate, seppur lei fosse una zombie e non risentiva del dolore agli addominali causati dal troppo ridere. E guardava ancora quella spassosissima scena, troppo raccapricciante per gli uomini quanto divertente per lei e forse qualche altro sadico individuo. Le mucche, infatti, stavano volando nelle correnti d'aria del ciclone, muovendo le loro zampe inutilmente e muggendo impaurite; eppure lei rideva, e rideva perché le sembrava comico tutto. Era una scena bruttissima, disastrosa, che sicuramente sarebbe finita sui giornale, eppure era troppo ironica dal suo punto di vista. E anche le zampe di quei poveri bovini in balia del ciclone erano assurde! Ai suoi occhi pareva che le mucche nuotassero in quelle correnti, e volteggiavano come ballerine su quell'immaginaria sinfonia; invece, qualche volta, erano così vicine da impattare l'un l'altra ma fortunatamente non si scontravano mai. La scena, comica per Lille, si sarebbe trasformata in qualcosa di triste anche per lei. Fra risate e un dolore finto, s'accorse che quel tifone stava venendo contro di lei. Stavolta la risata si sarebbe smorzata, e sul viso della giovane sarebbe comparsa un'espressione più o meno sconvolta e disperata, con occhi sgranati e bocca aperta al limite del possibile umano; aveva riso tanto per quei poveri bovini che forse questo era il karma che le si ritorceva contro.
-...fanculo!-
E si mise a correre ancora su quella strada sterrata, inseguita dal ciclone. Pareva che quella forza della natura si fosse accorta del divertimento che procurava alla zombie, e, forse disturbata dalle risate mentre compiva solo il suo lavoro di distruggere ogni cosa, avrebbe fatto pagare a Lille tanta insolenza. Oppure era solo sfiga della ragazza. Anche se correva, il vento le era contrario e la sua velocità fu decisamente ridotta, al che anche lei venne raggiunta dall'uragano. Ne fu risucchiata fra le correnti d'aria, urlando come una disperata, andando praticamente su un giostrino dei cavalli: iniziò, come le muggenti mucche, a girare e girare e girare e girare nelle forti correnti del ciclone, perdendo anche il suo cappello. Era un casino lì dentro: una specie di "orgia" comune le cui vittime erano mucche, pezzi d'arredamento e Lille, e magari qualche altra cosuccia di cui non voleva sapere la composizione organica (chiamata anche cacca, forse delle mucche spaventate..). Ma, e questo era abbastanza divertente e comico nel bel mezzo di una tormenta devastante, Lille venne sbattuta contro una mucca, che emise un verso cupo all'impatto. Lei era completamente spiaccicata su un lato del bovino, fortunatamente salvata dalla massa grassa dell'animale. Allorché, quando si riprese dalla botta, s'arrampicò per tutto l'animale e gli salì in groppa.
-Hey là! Salve! Me lo dà un passaggio?-
Lille sorrideva mentre era bella stesa sulla schiena dell'animale, ed aggrappata a quelle piccole corna, mentre la mucca stessa girò la testa verso quell'intrusa e muggì come per dire "Oh Gesù Cristo, salvami tu!" Era turbato anche l'animale, evidentemente. Ed in mezzo a quella distruzione portata dal ciclone, Lille aveva trovato un'amica e guadagnato un passaggio perchissàdove gratis, passando una giornata di merda in cui si era anche divertita.
 
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view post Posted on 31/1/2012, 23:58
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Fuoco crepuscolare che mai si estinguerà

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Titolo: Dolore di cristallo
Genere: Dark, drammatico, triste
Tipo: Poesia
Rating: Arancione
Brano: Angels - Within Temptation
Personaggi: Jessie Auriel - Alex Mockushin
Note: ///


Era morto.
L'angelo dagli occhi rossi, infuocati dal suo sangue demoniaco, non c'era più.
Era morto.
Nel tentativo di salvare lei, la donna che amava, era caduto come un impavido Icaro.
Quella stessa donna che gli aveva promesso che si sarebbero rivisti, ma che per prima aveva infranto la promessa.
Per colpa sua.
Era morto e lei non avrebbe mai più potuto ammirare il suo sorriso né i suoi occhi.
Quel sorriso, semplice e solo per lei, che l'aveva cambiata, distruggendo l'armatura in cui si era rinchiusa.
Quelle iridi cremisi che l'avevano ammaliata.
L'angelo demoniaco era scomparso per sempre.
Non avrebbe mai più potuto godere del tocco delle sue mani.
Quelle stesse mani che l'avevano fatta sentire una donna per la prima volta.
Era morto e la colpa era soltanto sua.
Non c'era più via di fuga dai sensi di colpa.
Il demone dall'anima candida era morto.
Il suo splendente ricordo era soltanto fonte di dolore, come un cristallo che urla alla rottura.
 
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view post Posted on 1/2/2012, 00:10
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Dichiaro chiuso il contest, quando i giudici avranno la valutazione ve lo comunicherò.
 
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